In un post su Linkedin, l’amico Arturo di Corinto, docente, giornalista e ricercatore ha denunciato : “Ho scoperto che soggetti e aziende che lavorano nel campo della reputazione online si dedicano anche alla diffamazione online”. “La cosa funziona più o meno così: ti contattano, offrono un pacchetto di servizi, se non li paghi comincia la shitstorm sui tuoi profili”.
“L’idea che la reputazione costituisca un elemento fondamentale per l’attività economica trae le sue origini in epoca moderna già negli anni Quaranta, quando John Stuart, amministratore delegato del colosso statunitense dell’alimentare Quaker, affermava, non senza una punta di provocazione, “se quest’azienda fosse divisa ti lascerei l’impianto industriale e tutte le apparecchiature e mi terrei il marchio e sono sicuro che otterrei risultati molto migliori dei tuoi”.
Così “ Gianluca Giansante in “Comunicazione integrata e reputation management” (Italian Edition) (p.35).Gianluca Comin (a cura di). Edizione del Kindle.
Del resto studi e ricerche sul tema sono aumentati nel tempo.
«La reputazione aziendale è la valutazione complessiva di un’azienda da parte di stakeholder nel tempo. Tale valutazione si basa sulle esperienze dirette degli stakeholder con l’impresa, su ogni altra forma di comunicazione e simbolismo che fornisca informazioni sull’operato dell’impresa e/o un confronto con l’operato di altri principali competitors» (Gotsi, M., Wildon, AM, 2001, pag. 29).
E’ una delle numerose definizioni di una questione emersa ben prima che se ne discutesse prevalentemente su Internet per indicare una parte dei fattori immateriali che incidono sul valore di un’azienda o di un “marchio”.
Prima di questa “acquisizione”, ampiamente discussa, il valore di un’azienda era il dominio della contabilità fondato sulle performance. Gli analisti finanziari si occupavano solo di questo. Poi con la diffusione di internet e degli strumenti di marketing e advertising online, brand awareness, brand reputation si sono (a volte strumentalmente) sovrapposte. Di qui un’ offerta di “analisi”, unita a quella della “ripulitura” e/o “miglioramento” della “reputazione” nell’ infosfera spesso distorsiva e fondata su pregiudizi.
- Il primo bias “presume” che la reputazione corrisponda ad una misura matematica della “positività” o meno di un brand o di una persona (ad esempio un leader politico), necessariamente se non esclusivamente “sulla rete” o “sui social”. Il Brand è parte della reputazione, è identità, riconoscibilità, ma non “include tutte le aspettative degli stakeholders”
- Un secondo equivoco è che una campagna denigratoria, una “crisi” reputazionale, per un grave errore, o per gli esiti di un processo mediatico, si possano correggere solo con la (indispensabile) protezione legale o con accorgimenti, nascondimenti, rimozioni (possibili)
- Il terzo è che sia una questione che riguarda solo “comunicazione e marketing” . La reputazione aziendale riguarda la creazione di valore per gli stakeholders. Senza preparazione in questa direzione, non c‘è gestione della reputazione . Tuttavia “velocità” con cui si propaga un danno reputazionale spinge a considerare come un “incidente” le “crisi reputazionali” e porta ad un atteggiamento solo “reattivo” e non “costruttivo”
I pericoli dovuti alla velocità cumulativa degli algoritmi, sono abbastanza chiari, ma i rapporti di forza molto squilibrati. Le piattaforme non dovrebbero essere onnipotenti ed opache. Ma su come muoversi per proteggere libertà, dignità, privacy e così via le idee e le posizioni non sono altrettanto chiare ed univoche.
Sul valore di un titolo, di un marchio pesano le opinioni dei “consumatori” che alimentano le vendite, (cui si dedica la pletora di strumenti di marketing ed advertising). Ma pesano dunque le percezioni , aspettative e giudizi degli stakeholder interni ed esterni, sociali ed istituzionali.
E contano sempre più valori come innovazione, di prodotto e di processo, capacità di attrarre talenti, equità, sostenibilità ambientale e sociale, governance aziendale.
Già ma chi analizza e misura questa dimensione ? E come? Di chi fidarsi quando vediamo una classifica ? Nell’epoca della realtà quantistica siamo tutti un po’ come il gatto di Schroedinger? (Quello che può essere vivo o morto a seconda che l’osservatore guardi o meno la scatola in cui è contenuto) . Un’ analisi che restitusca il valore di un “sentiment” on line, rilevato con un automatismo è spesso fuorviante.
La reputazione è comunque un fattore “relazionale” complesso, non una foto statica o in bianco e nero
Ha un gran peso la valutazione di “stakeholder omologhi” (una sorta di costante peer review) e di quelli istituzionali, degli analisti finanziari (che debbono tener conto interessi diversi), e di tanti pubblici influenti e sensibili a fattori etici ed ambientali. Una reputazione sociale.
Considerazioni analoghe valgono per i leaders d’azienda ed il loro ruolo: nel loro lavoro conta molto la considerazione dei pari: tra ricercatori, professionisti, manager apicali.Tutto questo è difficile da stabilire, misurare e computare secondo principi chiari.
Al centro dovrebbero esserci TRASPARENZA , INDIPENDENZA E RIGORE
Chi lavora da (molti) anni sulla misurazione della Reputazione Aziendale usa strumenti come il Global Rep Trak (del Reputation institute) o il Monitor di Reputazione Aziendale (di Merco) che si fondano su criteri e garanzie internazionalmente riconosciute ed in costante aggiornamento. Solo alcune hanno il pregio di non sovrapporre consulenza ed analisi reputazione e di essere sottoposte a verifica esterna.
Il ranking Merco ad esempio ha alcuni tratti distintivi
- Chi misura deve dire sulla base di quali criteri e cosa esattamente misura, esplicitare il peso relativo a diversi fattori e rendere conto dei criteri.(Come chi fa sondaggi politici o di mercato dovrebbe rispettare dei criteri nda)
- Chi misura non dovrebbe fare consulenza e deve guadagnare dalla qualità di suoi report approfonditi basati sulle analisi raccolte
- Tutto il processo dovrebbe essere oggetto di audit di terze parti
La misurazione è una premessa dell’azione , ed è decisiva per accrescere il valore atteso dagli stakeholders